31 ago 2012

LIBRI . racconto di Arduino Rossi


LIBRI

Lo scopo della mia vita era lo studio: leggere e accumulare appunti per un'opera mastodontica che avrei chiamato l'enciclopedia.
Non sarebbe stata come quella degli enciclopedici del secolo dei Lumi, ma come una nuova pietra fondamentale del sapere moderno.
Stavo accumulando dati su tutto lo scibile umano, dalla biologia all'astrologia, dal mondo delle fiabe a quello delle musiche giovanili rumoreggianti e legate al consumo delle droghe.
Ero il bibliotecario di una piccola biblioteca di periferia che aveva pochi utenti, per di più vecchi professori con le loro manie culturali, specializzati su autori latini e greci.
Avevo uno scatolone dove erano ammucchiate centinaia di quaderni con le bozze di quanta anni di impegno.
Mi mancava solo la casa editrice disposta a far stampare tutto quel materiale, anche a pagamento, ma per pubblicare il tutto mi serviva una somma enorme.
Sostenevano che non avesse valore commerciale un'edizione così grande volume di dati e date senza scopo alcuno se non quello della pura conoscenza pedante.
Non esistevano più gli amanti delle nozioni e delle informazioni senza scopo se non quello della pura divulgazione.
La ricerca del denaro per far entrare in biblioteca il mio lavoro di tutta la vita era diventata un'ossessione, io non avevo mai desiderato denaro: ero uno scapolo abitudinario, con i ritmi precisi e ripetitivi, quasi maniacali senza fantasia.
Mangiavo alla data ora, andavano sempre a letto alle venti e mi alzavo alle cinque del mattino in qualsiasi stagione: mi lavavo le miei cose, mi preparavo la mia magra colazione.
Mi sistemavo il mio vestito grigio con la cravatta intonata e il mio cappello, tenuto con religiosa precisione.
Ero stato indifferente alle mode e il mio vestiario era particolarmente antiquato: i giovani sorridevano vedendomi passare, per loro ero un rudere vivente.
Come potevo ottenere denaro?
I miei risparmi non erano sufficienti, la mia liquidazione avrebbe coperto la metà della spesa, mentre io volevo vedere pubblicato tutto al più presto.
Temevo che un malore mi avrebbe portato all'altro mondo senza poter concludere la mia opera.
Era questa la seconda ossessione che non mi lasciva dormire: dover lasciare tutto qui senza aver visto la fine del mio impegno, mi terrorizzava l'idea perché mi pareva di non dare un senso alla mia vita.
Di libri la mia biblioteca ne conteneva più di duecentomila: era un vero tesoro di antichità e di rarità.
Ero l'unico a sfogliare i testi più preziosi, i manoscritti più belli, miniati con gusto aristocratico.
Fu proprio in uno di questi miei tesori, come li chiamavo io, che scovai la mia fortuna o sfortuna se preferite: era la descrizione di un enigmatico covo di briganti, proprio nella parte vecchia della città è sotto un edificio che oggi non esiste più.
Lì, secondo il libro, c'era l'oro dei poveri, le pietre preziose dei miseri, l'argento della madre terra.
Poteva essere benissimo simbolico e rappresentare virtù cristiane, ma volli andare sino in fondo alla questione.
Non fu facile convincere il custode dello stabile che sorgeva al posto del monastero in parte abbattuto il secolo scorso: con una buona mancia il burbero guardiano mi lasciò scendere negli scantinati, tra topi e ragni, come diceva lui, tra reperti archeologici come sostenevo io.
Infatti di resti di precedenti costruzioni, pre-romane e medievali ne individuai parecchi, ma non ero sceso per quello: dovevo trovare il corridoio che portava al covo, o se preferite al nascondiglio dei briganti.
La porta delle segrete era stata murata secoli prima, ma c'era ancora la traccia degli antichi cardini: non era da lì che sarei riuscito a penetrare nella sala del mio tesoro.
Avrei dovuto cercare in un altro tratto, forse dalla chiesa
patronale.
Attesi la sera e mi nascosi nel confessionale, il sagrestano chiuse le porte e se ne andò, così potei uscire indisturbato.
Fu facile trovare la porta dei sotterranei, era rimasta aperta e la conoscevo benissimo, grazie alle mappe che avevo in biblioteca.
Fu facile arrivare all'imbocco degli scantinati dell'antico convento, meno facile fu penetrarvi.
C'era una massiccia porta di legno, ma per fortuna la serratura si era arrugginita: forzarla fu semplice.
Da molti anni nessuno era entrato in quelle gallerie e l'aria era fetida, ma non mi importava, dovevo giungere sino al mio scopo.
L'oro c'era, pure l'argento e le pietre preziose, il libro non
aveva mentito, ma pure mi sembrava troppo facile la mia scoperta: possibile che nessuno si era accorto di quella porta e non si era inoltrato in quei tratti dei sotterranei?
Il mio problema principale era quello di ritornare a casa, procurarmi i mezzi per portare con me quelle ricchezze e spenderle senza dare sospetti.
Non era un'operazione facile: cominciai a riempire la borsa di canapa che avevo con me, poi tornai sui miei passi, ma ben presto mi accorsi di essermi smarrito.
Eppure la mappa non doveva essere sbagliata: le gallerie erano lunghe solo poche centinaia di metri e nulla più.
Mi stavo facendo prendere dal panico: dovevo al più presto richiudere la porta, senza lasciare tracce di scasso e nascondermi in chiesa, per uscire indisturbato con la gente della prima Messa, all'alba.
Finalmente scovai una nuova porta, uscii all'aperto, proprio in una piazza che non avevo mai visto.
C'era un buio tenebroso, la notte era illuminata dalle stelle e da qualche bagliore che usciva dalla finestra.
Il silenzio era pesante, qualche ombra si notava in fondo alla piazza.
Non seppi riconoscere il luogo, eppure la mia città la sapevo percorrere anche a occhi chiusi: quello era un posto sconosciuto, mai visto se non in un vecchio quadro.
Era impossibile, il borgo di san Giovanni era stato abbattuto nel seicento, quando decisero di allargare la cinta muraria: quel posto non doveva più esistere.
Dei cavalli nitrivano in una stalla vicina, c'erano delle torce ai quattro angoli della piazza e il fumo saliva lieve, mentre la mia vista si stava abituando a quella notte del passato.
Dove ero finito?
I libri di negromanzia parlavano di una seconda città dentro la prima, uguale nei secoli, dove vivevano i morti.
Era assurdo: le mie letture mi avevano offuscato la ragione, non riuscivo a ritrovare altra spiegazione, benché irrazionale.
Il fetore della morte saliva dai borghi sparsi nella campagna: era proprio come nel quadro che tenevo sopra la mia testa da quarant'anni, un paesaggio lugubre che descriveva la pestilenza del seicento.
Udii i carri dei monatti percorrere le vie, i corpi abbruttiti dal morbo, i brutti musi dei porta cadaveri, ceffi sfuggiti al patibolo per la necessità di braccia disposte a sotterrare i morti.
Le torce illuminavano visi terrorizzati o straziati dal dolore, dal terrore di una morte tanto prossima quanto sicura.
Sapevo che il pittore del quadro era stato uno stregone ed era morto sul rogo, ma non sarei mai immaginato che un giorno sarei terminato in un tranello simile: la trappola dei defunti.
Tornai sui miei passi, ma non riuscivo ad orientarmi in quelle tenebre, finalmente rintracciai il convento dei frati neri: vi entrai senza chiedere permesso.
Tutte le porte erano aperte e ogni angolo era zeppo di corpi di moribondi o di cadaveri.
Scesi nella cripta, tra frati oranti, indifferenti a me e al mio abbigliamento per loro insolito.
Trovai la sala del tesoro e decisi di lasciare il mio bottino al suo posto: fu facile individuare l'uscita e attendere la fine della notte tra le colonne della chiesa.
Fuori cercai di capire cosa mi era capitato: poteva essere stato un incubo, ma era reale e mi aveva lasciato l'odore tremendo di cadaveri.
Trovare una spiegazione non fu facile, ma decisi di non tornare a casa se non con il mio oro.
Mi procurai una grande borsa e un sacco per i preziosi, l'argento l'avrei preso un'altra volta.
Mi lessi la sbiadita mappa del borgo di San Giovanni, per non perdermi e scrissi queste memorie, se per caso non dovessi tornare.
So di rischiare di non riuscire più a trovare la via di uscita da quella città celata, ma non ho altre possibilità: quell'oro mi serve.
Si dice che quello sia un limbo o un inferno, dove il tempo sia sempre uguale, una notte perpetua ti avvolge e non ti rimane che stare accanto ai moribondi e ai cadaveri per l'eternità.
Vi racconterò ogni particolare quando sarò tornato.
-Altro non scovai sul Signor Parte, scomparso l'anno scorso.
Come bibliotecario che lo ha sostituito scartabellai tra i volumi
e rintracciai il foglio scritto da questo vecchio pedante di
altri tempi, grazie all'accuratezza che ho nel ricercare e riordinare i volumi.
Dovrei consegnare questo foglio alla polizia, ma temo che servirebbe ad avvallare la teoria della pazzia di Parte, invece io credo all'esistenza di questa città segreta e del tesoro nascosto.
Ho deciso di avventurarmi nei sotterranei della chiesa patronale e se non tornassi pregate per me.-